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Finney, Albert.

Attore, regista, produttore teatrale e cinematografico inglese. Compiuti gli studi alla Royal Academy of Dramatic Arts, debuttò in teatro nel 1956 interpretando, con la Birmingham Repertory Company, Giulio Cesare di Shakespeare. Da allora s'impose con maestria in numerose opere shakespeariane, recitando sui più prestigiosi palcoscenici. Le sue prove teatrali più interessanti furono Billy il bugiardo (1960) di Hall-Waterhouse; Lutero (1961) di John Osborne; L'ultimo addio di Armstrong (1965) di John Arden; Amleto (1975) di William Shakespeare; Tamerlano il Grande (1976) di Christopher Marlowe, di cui fu anche regista; JJ Farr (1987) di Ronald Harwood. Alla fine degli anni Cinquanta entrò nel gruppo degli angry young men (giovani arrabbiati) che, riflettendo la crisi di valori della società inglese del dopoguerra, segnò un rinnovamento nelle tematiche e nel linguaggio del cinema e del teatro britannico. Fu sullo schermo che F. sviluppò la sua bravura istrionica. Dopo aver ricoperto un piccolo ruolo nel film Gli sfasati (1960) di Tony Richardson, si affermò internazionalmente nell'ambito del Free Cinema, in particolare con Sabato sera, domenica mattina (1960) di Karel Reisz, pietra miliare del cinema realistico britannico, e Tom Jones (1963) di Tony Richardson, per cui ottenne il Golden Globe. Recitò quindi nelle pellicole: La più bella storia di Dickens (1970) di Ronald Neame, per cui vinse il Golden Globe; Assassinio sull'Orient Express (1974) di Sidney Lumet; I duellanti (1977) di Ridley Scott; Il servo di scena (1983) di Peter Yates - adattamento cinematografico dell'omonimo lavoro teatrale da lui già interpretato -, per cui vinse l'Orso d'Argento al Festival di Berlino; Sotto il vulcano (1984) di John Huston; Un ostaggio di riguardo (1987) e Orphans (1987) di Alan J. Pakula; Crocevia della morte (1990) di Joel ed Ethan Coen; Un uomo senza importanza (1994) di Suri Krishnamma; Washington Square (1997) di Agnieszka Holland; Inganni pericolosi (1999) di Matthew Warchus; La colazione dei campioni (1999) di Alan Rudolph; Erin Brockovich (2000) e Traffic (2000) di Steven Soderbergh; Big fish (2003) di Tim Burton; Un amore per caso (2006) di Ridley Scott. Si cimentò anche nella regia dirigendo L'errore di vivere (1968), che interpretò egli stesso (n. Salford, Manchester 1936).